Il Seicento
Ultima modifica 6 maggio 2020
Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati
Nel 1600, Marcantonio Seripanno vendette il feudo di Mottola a Marcantonio Caracciolo, rampollo del ramo di questa antichissima famiglia aristocratica che faceva capo ai marchesi di Santeramo, Cervinara e Volturara Appula. Essendo privo di titoli nobiliari, Marcantonio ottenne dal re Filippo III di Spagna il titolo di “marchese di Mottola”. La concessione del titolo nobiliare, emessa dalla residenza del sovrano all’Escorial il 2 luglio 1611, venne conferita in perpetuo a Marcantonio e a tutti i suoi discendenti, eredi e successori per linea di sangue.
Marcantonio e suo nipote Francesco detennero il marchesato di Mottola fino al 1653, quando Francesco vendette il feudo all’omonimo parente Francesco Caracciolo, duca di Martina. Non potendo alienare anche il titolo nobiliare, conservò nominalmente il titolo di marchese di Mottola, che venne trasmesso nel corso dei secoli ai suoi discendenti per linea di sangue. Attualmente il titolo onorifico di “marchese di Mottola” è attribuito a Leopoldo Balestra di Mottola.
Anche nel quarantennio del marchesato continuò la stasi demografica della città; in una carta topografica di Terra d’Otranto del 1613 sono riportati 162 fuochi, circa ottocento abitanti; lo “Stato d’anime” del 10 marzo 1630 testimonia la presenza di 727 abitanti e nel 1648 veniva tassata per 169 fuochi. Il minimo storico venne toccato nel 1669, con 115 fuochi, equivalenti a meno di seicento abitanti. Nel 1652, in occasione della vendita del feudo, l’apprezzo del tavolario Onofrio Tango descriveva la popolazione e la economia della città, non certo florida, alla metà del secolo:
“… pagano per fuochi 160. L'habitanti vi sono persone civili da dieci, quali vivono con qualche industria. Vi sono da cinquanta preti, tra sacerdoti et clerici, et altri son tre mandesi (falegnami costruttori e riparatori di carri), uno cositore (sarto), tre scarpari (calzolai), e li restanti sono bracciali, ed altri esercizi foresi (lavori agricoli); le donne si esercitano al filare lino, lana, bambace, et tessono lanette, e tele, et l’altre escano alla campagna… ... et dicto territorio da sotto la città di levante è poco seminativo, il restante machioso e bosco; da mezzogiorno è tutto machioso con poco olive; è seminatorio da ponente; è tutto machioso da tramontana; da sotto la città è seminatorio, macchie et boschi, quali servono per difese; nel vicino sono seminatorii ortolitii, dalli quali ne pervengano grani marzulli, vini bianchi, rossi, moscatelli, frutti d’ogni sorte d'estate, li quali ne sono abondante, che servano per uso de’ cittadini, e quelli che avanzano si vendono; nelli quali territori vi sono più acque sorgente per governo del dicto territorio. Vi sono tra bovi et vacche n. 200, cavalli, giomente e somari n. 30, porci n. 150...”.
La situazione iniziò a migliorare lentamente nella seconda metà del secolo, dopo il passaggio del feudo nelle mani del duca di Martina. Questa casata era molto più interessata delle precedenti alla salvaguardia e gestione economica del feudo. Petraccone Caracciolo, figlio di Francesco, arrivò a sostenere nel 1665 un duello con il conte di Conversano e duca delle Noci Cosimo Acquaviva D’Aragona, per difendere le proprie ragioni nella secolare controversia sulle terre demaniali che erano state occupate dai nocesi in territorio di Mottola. Questa volta la controversia riguardava alcune terre burgensatiche nella contrada Bonelli e l’abbeveratoio del “lago di Traversa”. Un altro motivo di forte tensione era rappresentato dalla questione di Alberobello, all’epoca ancora una foresta della contea di Conversano che si andava lentamente popolando di abitanti per iniziativa degli Acquaviva d’Aragona. Il Caracciolo non riconosceva l’utilizzo degli usi civici sul territorio mottolese agli «uomini nuovi di Alberobello, che ancora non avevano né casa, né patria». Così il 19 luglio 1665, a Ostuni, Petraccone affrontò in un duello alla spada Cosimo d’Acquaviva d’Aragona, mentre suo fratello Innico si batté con il primogenito di questi, Giangirolamo; il duello si concluse con la morte del duca delle Noci.
L’acquisto del latifondo mottolese consentì a Petraccone di sviluppare efficacemente l’allevamento del bestiame, grazie alla larga disponibilità di erbaggi nelle terre feudali e alla rapida capacità di adattamento alle esigenze del mercato. Nel 1704, alla morte di Petraccone, gli allevamenti ducali mottolesi contavano ben 600 capi bovini, 5.500 ovini, 1.000 capre, 1.000 maiali, 100 cavalli e puledri e 150 giumente. Importante fu soprattutto l’incremento che si ebbe nell’allevamento bovino, un settore fino allora poco sviluppato nell’Italia meridionale.
Queste scelte economiche dei Caracciolo esercitarono una indubbia influenza sulla ripresa demografica del feudo di Mottola, tanto che agli inizi del ‘700 la popolazione mottolese era tornata a crescere, arrivando a contare circa milletrecento abitanti.
La Mottola di fine Seicento è raffigurata in una incisione di Cassianus da Silva del 1684, che è riportata ne Il Regno di Napoli in prospettiva dell’abate Giovanni Battista Pacichelli.