Le querce dei boshi di Mottola e le specie paleoegeiche provenienti dai Balcani

Ultima modifica 13 maggio 2020

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

Le querce presenti nei boschi mottolesi sono la roverella (Quercus pubescens Willd), a foglie caduche, che può raggiungere i 20-25 metri di altezza, comune in Italia, il cui areale è costituito dall'Europa centro-meridionale e dall'Asia Minore. La spinosa (Quercus Coccifera o Calliprinos Webb), generalmente arbustiva ed a foglie persistenti, il cui areale è rappresentato dal Mediterraneo e che in Italia è presente in Sardegna, Sicilia e Puglia; quindi il leccio (Quercus Ilex), quercia a foglie persistenti che può vivere anche mille anni e raggiungere i 20 metri di altezza, presente in tutto il Mediterraneo.
Il fragno (Quercus Trojana Webb) è una quercia dalle foglie caduche che può vivere diversi secoli e raggiungere l'altezza di 15-20 metri. Il suo areale originario è rappresentato dal Mediterraneo Orientale, dai Balcani, ove forma estese foreste. La sua presenza in Italia - così come quella di alcune altre piante che vivono in questi boschi e nelle gravine, le cosiddette specie paleoegeiche transioniche meridionali (o transadriatiche) - testimonia un grande sconvolgimento naturale che si è verificato nel bacino del mediterraneo 5-6 milioni di anni fa.
Alla fine dell’epoca geologica del Miocene, ampie zone dell’attuale mar Mediterraneo erano prosciugate e si presentavano come una valle profonda e arida ricoperta da uno spesso strato di sale.
Le cause principali di questa regressione marina nel Mediterraneo erano riconducibili a una glaciazione, che aveva portato alla riduzione del livello globale degli oceani, associata alla compressione tettonica che avvicinò la Spagna e l’Africa, formando una sorta di tappo naturale che interruppe la connessione con l’oceano in corrispondenza dello stretto di Gibilterra. L'abbassamento del livello del mare, dopo l’isolamento dall'Atlantico, fu tale che in buona parte del bacino del Mediterraneo l'acqua scese fin quasi a scomparire e i sali si depositarono sul fondo.
In tale situazione, la Puglia attuale si trovò a far parte di un grande continente di terre emerse, l’Egeide, che comprendeva anche gli attuali Balcani e la Grecia. La sua costa partiva dal Friuli e scendeva lungo l’attuale asse del Mare Adriatico e giunta all’altezza del Gargano penetrava nell’attuale entroterra pugliese sino alla fossa bradanica lucana, inglobando tutto il territorio delle Murge per poi volgere ad oriente verso la Grecia. Questa fase viene chiamata “crisi di salinità del Messiniano” dal nome del periodo geologico in cui ebbe a verificarsi. La connessione con l’Oceano fu ristabilita solo dopo circa 270.000 anni, quando la calotta antartica cominciò a ritirarsi provocando il sollevamento del livello medio degli oceani. L’innalzamento delle acque dell'Atlantico causò a sua volta la forzatura del “tappo” allo stretto di Gibilterra, con l’ingresso improvviso delle acque oceaniche che attraverso una catastrofica inondazione riempirono nuovamente in pochi anni il bacino del Mediterraneo.
In quei 270.000 anni, grazie al ritiro delle acque e al corridoio delle terre emerse, venne oltremodo facilitato il passaggio in Puglia di diverse specie animali e vegetali che erano originarie dei Balcani e che restarono quindi a prosperare nella nostra regione anche dopo il successivo “riempimento” del Mediterraneo, fino ai nostri giorni.
Le specie vegetali paleoegeiche giunte alla fine del Miocene in Puglia comprendono diverse orchidacee dei generi Ophrys e Serapias, e ancora il Fragno, la Campanula pugliese (Campanula Versicolor Hawkins), il Salvione giallo (Phlomis Fruticosa), la Salvia triloba (Salvia Triloba L.), il Raponzolo meridionale (Asyneuma Limonifolium Janchen)  e la graminacea Aegilops Uniaristata.
Tra le specie animali che durante il Messiniano emigrarono dai Balcani alla Puglia vi sono gli ortotteri del genere Troglophilus e il coleottero Dendarus dalmatus, ma anche  rettili come il Colubro leopardino (Zamenis Situla), il più bel serpente europeo, che all’epoca della Magna Grecia veniva considerato sacro e venerato nei santuari dedicati ad Esculapio, e infine il raro Geco di Kotschy (Cyrtopodion Kotschyi).


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