L’enigma Petruscio
Ultima modifica 6 aprile 2021
Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati
Questo villaggio rupestre è molto importante dal punto di vista storico, perché i suoi reperti archeologici testimoniano in modo straordinario la fase originaria della ricolonizzazione bizantina della Puglia centrale. Infatti, venne popolato in età altomedievale – intorno al IX secolo – e abbandonato già in età bassomedievale, tra XI e XII secolo. Di conseguenza, non avendo subito successivamente una marcata antropizzazione, rappresenta una sorta di “Pompei rupestre”, utile a fornirci importantissime informazioni sui primi insediamenti demici della Puglia bizantina, a differenza di tanti altri villaggi rupestri che hanno continuato a essere abitati fino all’età moderna o contemporanea, con la sovrapposizione di elementi architettonici e urbanistici che ne hanno cancellato i caratteri originari.
La datazione del popolamento del villaggio tra IX e XII secolo viene confermata da alcuni recenti scavi archeologici e dalla mancanza di affreschi, sia nelle tre chiese scavate nella gravina - la “Cattedrale”, la chiesa anonima del greppo est e la chiesa “dei Polacchi” - che in altre chiese rupestri vicinissime e facenti parte del comprensorio del villaggio, come San Domenico e Santa Croce, Masseria Iolanda o Bufalo Petruscio, Santa Maria della Serra. Le chiese rupestri, infatti, cominciarono ad essere affrescate solo dall’età normanna in poi.
Il periodo iconoclasta era iniziato nel 726 con la distruzione, per ordine dell’imperatore Leone III Isaurico, di una veneratissima icona di Cristo presente nella Porta di Bronzo del palazzo imperiale di Costantinopoli. Nel periodo iconoclasta la croce sostituì nella decorazione delle chiese le immagini di Dio e dei santi. Il periodo successivo all’iconoclastia, dopo l’843, fu quindi contrassegnato dalla riconciliazione tra il culto della croce e la venerazione delle icone. Le immagini sacre tornarono ad essere raffigurate nelle chiese molto lentamente, incontrando una notevole resistenza nella concezione iconoclasta che nel frattempo si era fortemente radicata nel clero e tra i fedeli. In Puglia, il ritorno alle immagini nella pittura sacra avviene solo nella seconda metà del X secolo, come attestano icone dipinte in alcune chiese di Carpignano Salentino, Grottaglie, Otranto, Casaranello e Muro Leccese. Ma si tratta pur sempre di “avanguardie”, perché la riaffermazione della pittura sacra nelle chiese rupestri pugliesi è da ascrivere all’età normanna e la sua piena fioritura si verifica soprattutto nei periodi svevo ed angioino, dalla fine del XII secolo in poi.
Lo scavo del villaggio sembra essere iniziato sui due versanti da sud verso nord, come conferma la presenza di una probabile grotta di un anacoreta dopo il limite nord dell’abitato rupestre, l’eremitaggio De Rosa, posta nel versante ovest a circa cinquecento metri dalle ultime grotte. Pertanto la Cattedrale, una delle prime architetture ipogee che si incontravano giungendo nel villaggio, quasi sicuramente era contemporanea alla escavazione delle prime abitazioni di Petruscio.
La assoluta mancanza fino al 1227 di documentazione storica sull’imponente villaggio, insieme ai recenti approfondimenti attraverso studi e rilievi archeologici, hanno ispirato l’ipotesi che Petruscio possa essere stato il sito del castellum mottoleseche le cronache riportano sia stato fatto fortificare dai bizantini nel 1023.
Infatti, altre fonti documentarie storiche certificano che nel 1063, nel territorio di Mottola vi erano sia un castrum che un castellum, ovvero che la città aveva due diversi siti fortificati, il prima più consistente e in muratura, il secondo più “leggero”.
Petruscio, pertanto, dopo la sua escavazione intorno al IX-X secolo, sarebbe stato un villaggio rurale con limitate forme di fortificazione – come fossati, terrapieni, recinti difensivi e torri di avvistamento (pyrgos) – simile agli altri castella attestati nei dintorni, sia rupestri (Massafra nel 970, Palagianello nel 1016) che edificati (Gioia del Colle nel 1111, Castellaneta nel 1160). Come castellum avrebbe ospitato pro tempore una gran parte degli abitanti di Mottola che erano impegnati nella ricolonizzazione produttiva della pianura tarantina.
Viceversa, l’antico castrum collinare, che è attestato in età classica e longobarda, verosimilmente rappresentava il luogo di rifugio delle popolazioni rurali in caso di estremo pericolo. Avrebbe svolto questa funzione non solo per gli abitanti di Petruscio, ma anche per quelli degli altri villaggi e delle fattorie rupestri sparsi nel territorio mottolese.
Già dal IV secolo d.C. era consuetudine dei bizantini la creazione di siti fortificati, chiamati kataphygion, distinti dai normali siti abitativi, che contribuivano alla difesa delle reti di villaggi rurali. Nel trattato sulla guerriglia, il “Liber de velitatione bellica Nicephori Augusti” dell’imperatore Niceforo Foca, del X secolo, viene adeguatamente spiegata la funzione di queste fortificazioni. In caso di minaccia di invasione da parte degli arabi, l'esercito avrebbe aiutato gli abitanti dei villaggi a ripiegare nel rifugio fortificato con il bestiame, beni mobili e provviste per quattro mesi. I luoghi fortificati offrivano ai contadini un prezioso rifugio, nel caso di aggressioni e invasioni, favorendo la nascita di nuovi raggruppamenti abitativi nei loro dintorni. L’esistenza di questi siti fortificati è attestato in tutta l’area mediterranea, nell'Egeo, in Grecia, in Macedonia, nel sud-est dell'Asia Minore ed anche nel sud Italia. In Calabria e in Macedonia, sono state rilevate e studiate molte di queste fortificazioni, poste sempre su siti elevati, spesso invisibili dalla pianura e dominanti villaggi medievali
Questa ipotesi viene rafforzata dalla assoluta mancanza di monumenti e testimonianze archeologiche nell’attuale centro abitato di Mottola, riferibili al periodo altomedievale. Le uniche eccezioni sono costituite da una piccola torre rotonda e dal ritrovamento di una muraglia, ambedue riconducibili al periodo bizantino e poste sul circuito delle antiche mura difensive di età ellenistica. Esse, pertanto, sembrano testimoniare interventi di riparazione e rafforzamento della fortificazione classica da parte dei bizantini, allo scopo di attrezzare al meglio il kataphygion in caso di rifugio in esso delle popolazioni rurali.
Il castellum mottolese di Petruscio potrebbe essere stato abbandonato nel 1156, nel corso della campagna avviata dall’imperatore Manuele I Comneno per riconquistare la Puglia che era caduta in mano normanna. Il cronista bizantino Giovanni Cinnamo, nella «Epitome rerum ab Ioanne et Alexio Comnenis gestarum», riporta che il generale Giovanni Doukas conquistò alcuni centri abitati nei pressi di Taranto, ovvero Mασαυρα (Masafra-Massafra), Πολυμιλιον (Polymilium- Palagianello), e Mόλισσα (Molissa- Mottola). La Mόλισσα descritta da Cinnamo nella cronaca della conquista, infatti, sembra avere molti punti in comune con il villaggio rupestre.