La chiesa dell'Immacolata

Ultima modifica 6 maggio 2020

Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati

La chiesa fu costruita nel 1686, sul sito del convento francescano che era stato edificato nella seconda metà del Cinquecento e della antica chiesa angioina della Madonna de Busso o della Vetera che aveva fatto da cappella allo stesso. Venne dedicata a san Francesco e svolse anch’essa le funzioni di cappella del nuovo convento francescano che era stato costruito in adiacenza alla chiesa, verso mezzogiorno.
Assieme al convento, cessò la sua funzione e venne chiusa al culto nel 1810, a seguito dei decreti murattiani del 1809 riguardanti la progressiva abolizione degli ordini religiosi nel Regno di Napoli.
Nel 1840 venne concessa dal re al supplicante Canonico don Domenico Buttiglione, il quale la riaprì al culto nel 1851, dapprima come cappella della Pia Congregazione laicale sotto il titolo di Maria Santissima Immacolata, e successivamente, dal 1873, come cappella della Confraternita della B.M.V. Immacolata sotto il titolo di San Francesco d' Assisi e dei Santi Martiri Cosma e Damiano.
Dal 1960 divenne sede parrocchiale, rimanendo chiusa per restauri dal 1975 al 1985.
La chiesa presenta una facciata semplice e lineare, suddivisa in due ordini da un cornicione aggettante, posto sopra una cornice meno pronunciata. L’ordine inferiore è scandito da quattro lesene, poste  ai lati dell’unico ingresso, che giungono fino alla cornice inferiore, partendo da uno zoccolo e terminando in capitelli d’ordine composito. L’altezza del secondo ordine è più limitata e ripete anch’esso il motivo delle quattro lesene che partono da uno zoccolo e terminano in capitelli compositi. Al centro il rosone è sostituito da un finestrone barocco che presenta un frontone mistilineo di archi salienti, concavi e convessi. Il finestrone è arricchito in alto da una decorazione di volute e motivi vegetali ed è sovrastato da un piccolo cornicione ad arco ribassato, sul quale trova posto un altro frontone cieco a rilievo, che fa da base alla croce. Sulla fiancata destra della chiesa, verso mezzogiorno, vi è il campanile, risalente alla fine dell'800, più basso della facciata e munito di due campane.
L’interno è particolarmente luminoso e presenta nelle sei cappelle laterali diverse opere pittoriche di buona fattura, in stile barocco e rococò, databili tra la fine del Seicento e gli ultimi decenni del secolo successivo. Ognuna di essa è posta in una elegante cornice di stucchi, che presenta nel fastigio un medaglione con l’immagine di un santo.  Altri dipinti sono presenti sul soffitto della navata, che mostra anche pregevoli decorazioni e stucchi. Partendo dall’ingresso, la prima scena raffigura il Sacrificio di Abramo, con l’Angelo che ferma la mano armata del patriarca mentre sta per immolare Isacco. La scena viene osservata dall’alto dal triangolo dell’occhio della Provvidenza di Dio, protettore dell’umanità.
Dopo la raffigurazione a rilievo della colomba dello Spirito Santo segue  una seconda scena biblica. Essa si riferisce al Sacerdozio di Melchisedec, l’unico personaggio biblico, oltre a Davide, che sia stato allo stesso tempo re di Gerusalemme e sacerdote del Dio altissimo; essendo depositario di un sacerdozio superiore e perfetto egli è un prefiguratore di Cristo. La scena raffigura il patriarca Abramo che viene ricevuto dal sacerdote, si prosterna ai suoi piedi e ne ottiene la benedizione. Melchisedec ha la barba bianca e il capo coperto da un lungo manto bianco; su un sarcofago decorato  sono poggiati una pagnotta di pane e una caraffa di vino. Sospesi in alto, sopra il sarcofago, sono il calice con l’ostia sacra, raffigurazione del corpo di Cristo.
Infine, dopo l’arco trionfale con cui termina la navata, nel soffitto del transetto è dipinta una rappresentazione di buona fattura della Assunzione della Vergine. La Madonna sale al cielo in un tripudio di angeli, verso la colomba dello Spirito Santo. In basso, attorno al sarcofago aperto, vi è una piccola folla di fedeli  che la osservano, stupiscono e si genuflettono.
Subito dopo l’ingresso nella chiesa, a sinistra, nella cappella dedicato a San Vito, vi è un fonte battesimale in marmo, sul quale trova posto il dipinto raffigurante San Vito con la nutrice Santa Crescenza e il precettore San Modesto, che furono martirizzati insieme sulle rive del fiume lucano Sinni. in alto, il medaglione contiene l’immagine di San Sebastiano.
Lo fronteggia sul lato destro la cappella dedicata a San Giuseppe da Copertino, il santo dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali che – secondo la tradizione – la comunità francescana di Mottola ebbe ad ospitare nel 1637, nel corso del suo apostolato. Essa mostra una tela raffigurante l’Estasi davanti all’Immacolata di San Giuseppe da Copertino, attribuita a Domenico Carella, l’artista che affrescò le sale del Palazzo Ducale di Martina Franca, che la dipinse intorno al 1770, tre anni dopo la canonizzazione del santo, ispirandosi a una analoga opera  del pittore veneto Domenico Cunego. L’episodio storico descritto nel dipinto si verificò nel 1645, nella cappella dell’Immacolata di Assisi. L’Ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede aveva fatto richiesta ai superiori del Sacro Convento di poter incontrare assieme alla moglie fra’ Giuseppe, nonostante la risaputa avversione del frate  a parlare con le donne. Giunto nella cappella, il santo guardò la bellissima statua lignea dell’Immacolata e si librò nell’aria, sorvolando la famiglia dell’ammiraglio e andando ad abbracciare i piedi di Maria. Sopra la tela, in alto, il medaglione rappresenta l’Angelo Custode che tiene per mano un fanciullo.
La seconda cappella a sinistra, nella navata, ospita l’altare dedicato al Crocifisso. Esso conserva la teca di vetro contenente la statua lignea di Gesù morto, donata alla “Pia Congregazione laicale sotto il titolo di Maria Santissima Immacolata” da Riccardo De Sangro e dai figli Nicola e Placido, duca di Martina,  nel 1854, l’anno in cui venne proclamato dal papa Pio IX il dogma dell' Immacolata Concezione. Anche il dipinto della Crocifissione che è posto sopra l’altare, raffigurante la Vergine, l’apostolo Giovanni e Maria Maddalena  ai piedi della Croce, sembra poter essere   attribuito alla scuola del Carella. In alto, nel medaglione, è rappresentato il giovane san Luigi Gonzaga mentre adora il Crocifisso che regge tra le mani.
Nella parte destra della navata lo fronteggia  l’altare dedicato a Sant’Antonio da Padova, anch’esso frate francescano, con il dipinto settecentesco della Visione del Santo, durante il ritiro in meditazione presso Camposampiero, poco prima della sua morte.  Il santo, circondato dagli angeli, riceve l’apparizione del Bambino Gesù e bacia il suo piede;  nel turbine delle emozioni di Antonio, nel pieno della estasi mistica, il libro, simbolo della sua dottrina teologica, è caduto per terra e giace aperto.  Sul medaglione nel fastigio del dipinto è rappresentata Santa Lucia coronata, in segno di gloria, che con la mano sinistra regge la patena con gli occhi e con la destra la palma simbolo del martirio.
Il medaglione che si trova nell’ultima cappella della navata, a sinistra, raffigura santa Teresa d’Avila, fondatrice dell’ordine dei Carmelitani Scalzi, con il cuore, segnato dalle transverberazione di Cristo, il libro aperto e il motto AUT PATI AUT MORI (O soffri o muori). Esso sovrasta l’altare, sul quale  troneggia un dipinto dell’Assunzione della Vergine, che sala al cielo, verso la Colomba dello Spirito Santo, nella gloria degli angeli. A destra dell’altare, entro una nicchia è presente la statua in gesso di Santa Rita da Cascia.
Di fronte, a destra, l’ultima cappella della navata ospita l’altare privilegiatum al quale sono annessi privilegi fruibili quotidianamente in perpetuo, ovvero l’indulgenza plenaria per un’anima in purgatorio ogni volta che sull’altare viene celebrata una messa. Fino ad alcuni decenni fa, ogni anno il 2 agosto, festa del “Perdono di Assisi” o “Indulgenza della Porziuncola”,  su questo altare veniva celebrata una messa che concedeva ai partecipanti l’indulgenza plenaria. La scritta ALTARE PRIVILEGIATUM /QUOTIDIANUM PERPETUUM / PRO OMNIBUS DEFUNCTIS / AD QUOSCUMQUE SACERDOTES appare sotto un tondo nel quale è raffigurato un giglio e sovrasta una cornice dipinta includente l’affresco di san Francesco che era stato asportato dalla antica chiesetta di santa Maria de Busso.
La composizione artistica fu fatta realizzare dal vescovo Francesco Della Marra nel 1696. La parte superiore mistilinea della cornice mostra un dipinto di buona fattura con Gesù seminudo, che regge la croce e la Vergine. Su di essi  si libra la colomba dello Spirito Santo e sono seduti tra gli angeli, uno dei quali, ai piedi della Vergine, regge il cartiglio INDULGENZA PLENARIA.
Dentro questa cornice dipinta è collocato l’affresco di San Francesco d’Assisi, realizzato su  una lastra calcarea, misura 1,20 cm di altezza per 60 cm di larghezza.  La lastra non presenta una superficie perfettamente uniforme, bensì un evidente ingobbimento all’altezza della testa del Santo. La composizione della figura rimanda allo schema tipicamente usato nella pittura del Duecento, soprattutto da artisti del centro Italia, mentre i caratteri “espressionisti”   risentono delle influenze greche e cipriote che erano giunte in Puglia attraverso icone e codici miniati, come in molti dipinti presenti nelle chiese rupestri mottolesi. I caratteri delle iscrizioni fanno pensare che l’affresco possa essere stato realizzato tra la fine del XIII secolo e la prima metà del successivo, nell’ambito della precoce diffusione in Puglia del culto del Santo. In tal caso, risulterebbe uno delle più antiche pitture murali del santo di Assisi nella nostra terra.
L’ aureola color ocra presenta  tonalità ambra calda e accesa e bordo perlinato. Alla sinistra del capo appare la iscrizione esegetica FRAN/CISCVS in lettere maiuscole bianche. Il Santo è rappresentato barbuto, stante, in posizione frontale; attualmente della figura è visibile la parte superiore, dal bacino in su, ma molto probabilmente in origine era raffigurata intera a grandezza naturale e la parte inferiore è stata tagliata con l’asportazione del dipinto. Il saio è di colore grigio-bluastro, molto simile e quasi confuso con il colore dello sfondo, ed è stretto alla vita da un cordone.
Francesco tiene aperta la mano destra, in atteggiamento di monito e di richiamo dell’attenzione del fedele verso il libro, che mantiene appoggiato al corpo con la mano sinistra, l’unica che presenti sul dorso la stimmata. Il libro è aperto e riporta sulle due pagine la scritta «VIGILATE [E]T ORATE / DICIT D[OMI]NE» in caratteri maiuscoli color grigio scuro, con caratteristiche protogotiche.
La nicchia posta sulla sinistra dell’altare contiene anche una statua in gesso raffigurante San Francesco. L’altare è l’unico sopravvissuto degli altari originari della fine del Seicento.
Nell’abside rialzato vi è un altare in marmi policromi che nella seconda metà del  Novecento ha sostituito quello originario. In alto, sono collocate le statue della Vergine Immacolata e dei Santi Medici Anargiri San Cosma e San Damiano, oggetto di particolare venerazione da parte della comunità cittadina. Le tre statue, risalenti alla seconda metà dell’800, hanno viso, mani e piedi in legno e furono anch’esse donate nel 1854 da Nicola de’ Sangro e dal fratello Placido, duca di Martina, in occasione della proclamazione del dogma dell' Immacolata Concezione.
Nel vano absidale, le vetrate policrome di recente fattura raccontano i primi tre Misteri Gaudiosi: nella vetrata centrale trova posto una Annunciazione, la parete destra ospita la Visita di Maria ad Elisabetta, e la parete sinistra la vetrata della Natività, al di sotto della quale è posta un grande statua in cartapesta di Gesù Crocifisso, risalente alla metà del Novecento; sempre  sulla parete sinistra, in alto, vi è un dipinto settecentesco dei Santi Medici.


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