Gli "ori di Mottola"
Ultima modifica 5 maggio 2020
Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati
Il periodo di maggiore sviluppo e opulenza per il territorio mottolese, in età classica, sembra essere costituito dalla prima età ellenistica, tra la fine del IV e il III secolo a.C. Risalgono a questo periodo diversi e importanti ritrovamenti archeologici, tra i quali figurano alcuni gioielli che fanno parte della celeberrima raccolta degli "ori di Taranto" di età magnogreca.
Il 21 dicembre 1936 il Museo Nazionale Archeologico di Taranto acquistava da una coppia di contadini di Mottola una splendida parure di ori di età ellenistica. Si tratta di un anello, di un bracciale e di un hormos, ovvero un ornamento del vestito femminile che veniva cucito all'altezza delle spalle. Il tesoro, che era stato ritrovato in circostanze mai chiarite, sembra appartenere alla produzione orafa tarantina degli inizi del III secolo a.C., databile all’incirca al 280 a.C.
Attualmente i tre splendidi monili sono visibili in una bacheca posta nelle sale degli ori, poste al secondo piano del nuovo allestimento del Museo di Taranto.
L’hormos spesso è stato scambiato per una collana; è formato dall’unione di sei catene a maglia doppia saldate insieme, che formano un nastro piatto rigido nel senso della larghezza. Questa tecnica toreutica è molto rara nella oreficeria tarantina, mentre appaiono più consueti i terminali a palmetta, che si affermarono nella produzione di Taranto all’inizio del III secolo a.C. L'anellino saldato alle estremità serviva per inserire il nastro di stoffa utilizzato per la cucitura del gioiello sul vestito femminile.
Il bracciale è costituito da una verga con scanalature molto profonde che si assottigliano leggermente alle estremità. I terminali sono costituiti da due teste di antilope cesellate, con particolari anatomici molto curati. Le corna in spesso filo godronato sono ripiegate a voluta e gli occhi, che sono attualmente cavi, originariamente dovevano contenere pietre preziose. Ambedue le teste di antilope sono raccordate alla verga del bracciale da un cilindro decorato in filigrana con volute contrapposte a “S” e definito alle estremità con uno spesso filo godronato ; alla estremità di ognuno dei cilindri appaiono foglie lanceolate con nervatura centrale in lamina.
L’anello ha un castone piatto di forma circolare, sul quale è inciso il profilo destro di un ritratto femminile di una matura signora. Il volto ha i lineamenti molto marcati, la capigliatura è stata minuziosamente disegnata per evidenziare le ciocche dei capelli disposte nella pettinatura “a melone”, terminante con la crocchia sulla nuca. La signora indossa orecchini a disco con pendente a forma di piccolo putto e una collana. Sul collo, si nota l’orlo di un mantello. Al di sopra della testa, infine, è presente un minuscolo puntino di argento.
Secondo alcuni studiosi, la misteriosa signora rappresentata nell'anello mottolese potrebbe essere la regina macedone Berenice, consorte del faraone Tolomeo I. Berenice, vissuta tra il 340 e il 279 a.C., era madre di Antigone, ovvero la moglie di Pirro, il famoso re dell'Epiro. Secondo questi studiosi, la parure di gioielli potrebbe non essere stata opera di un orafo tarantino, bensì un prodotto di importazione della raffinatissima oreficeria macedone, molto richiesta in età magno-greca, giunta fino a noi grazie al gusto per i gioielli di qualità di una ricchissima matrona mottolese.