Il Settecento
Ultima modifica 6 maggio 2020
Testo di Sergio Natale Maglio - © Tutti i diritti riservati
Nel corso del XVIII secolo il feudo restò saldamente nelle mani della casata Caracciolo dei duchi di Martina. Nell’ordine, si succedettero Francesco Maria II (1704 -1752), Petraccone VI (1752 -1771), Francesco III (1771-1794), Petraccone VII (1794-1796) e Placido (1796-1815).
In tutto il Mezzogiorno si verificò un risveglio economico e sociale, favorito dal passaggio del Regno di Napoli dal vicereame spagnolo ai Borboni, la nuova casa reale che, attraverso il moderato riformismo di Carlo di Borbone (1734-1759) e Ferdinando I (1759-1816), riuscì a far spirare sul regno un nuovo vento di modernizzazione.
Il Settecento fu per la Puglia il “secolo del grano”, grazie alla notevolissima crescita della cerealicoltura nell’intera regione. Essa fu accompagnata, inoltre, da una forte espansione delle colture arboree, in particolare degli oliveti, tanto che la Puglia negli ultimi decenni del ‘700 arrivò a produrre il 70 per cento del totale dell’olio esportato dal regno.
Nel nuovo assetto economico e produttivo che si era venuto a creare, nacque e si rafforzò in breve tempo il ceto dei “galantuomini”, una nuova borghesia che affondava le radici del suo potere economico e del prestigio sociale nel possesso della terra e nel commercio delle derrate agricole, soprattutto del grano.
L’incremento della popolazione e l’aumento dei prezzi delle derrate agricole indussero anche le famiglie feudali a puntare sempre più decisamente sulla valorizzazione della terra. Nel corso del ‘700 cominciarono a essere valorizzate e maggiormente sfruttate dai nobili proprietari le risorse potenziali dell’immenso latifondo mottolese. Se l’elemento portante dell’economia ducale era ancora fondato prevalentemente sull’allevamento degli animali, cominciò purtuttavia a essere praticata una più razionale diversificazione produttiva.
Buona parte del merito del benefico sviluppo settecentesco è da attribuire all’oculata politica del duca Francesco III, il quale durante il suo governo investì ben 55 mila ducati in acquisti e miglioramenti fondiari, mettendo a coltura nuove terre vergini e costruendo importanti infrastrutture di servizio per le comunità rurali. Francesco abbandonò la capitale per vivere a lungo nel feudo, promuovendone la crescita economica e culturale. Dal 1770 egli fu prevalentemente residente nella azienda ducale a San Basilio, nonché presente ed attivo anche a Martina Franca, ove creò una sorta di piccola corte e terminò l’incompiuto Palazzo Ducale, la cui costruzione era stata iniziata dal bisnonno Petraccone V.
Anche Mottola risentì positivamente di questa stabilità, vivendo una fase di forte rilancio e sviluppo demografico, sociale ed economico. La positiva congiuntura economica del ‘700 favorì sul territorio la nascita di un buon numero di floride “masserie di cereali”, che divennero centri di attrazione per grandi masse di lavoratori stagionali nei periodi di maggior richiesta di manodopera, come quelli della semina e del raccolto.
Di conseguenza, si assistette a un forte incremento dell’edilizia rurale nelle masserie sia dei galantuomini che dei massari, nonché nelle terre feudali dei Caracciolo. L’istituzione di nuove masserie rappresentò il principale volano della iniziativa economica ducale, costituendo nella seconda metà del secolo l’elemento chiave della colonizzazione rurale di un territorio che era ancora in grandissima parte vergine e boscoso.
Lo sviluppo economico portò con se una forte crescita demografica. Alla fine del Settecento la popolazione mottolese era più che quadruplicata rispetto alla fine del secolo precedente, e nel 1806 contava ben 2.436 abitanti.